lunedì 14 aprile 2014

Il mio amato brontosauro. Un'intervista con Brian Switek sui ricordi d'infanzia, sui dinosauri e sulla profondità del tempo

La copertina italiana dell'ultimo libro di Brian Switek (2014. Torino: Codice edizioni).
Copertina riprodotta con il gentile consenso delleditore.
In occasione della pubblicazione dell’ultimo libro di Brian Switek, intitolato Il mio amato brontosauro. Vecchie ossa e nuova scienza, per l’edizione congiunta di Codice edizioni e de Le Scienze, sono molto contento di presentarvi la traduzione in italiano della mia intervista all’autore (qui trovate la versione originale).
Buona lettura!

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Grazie alla cortesia di Brian Switek e all’efficienza del suo agente presso l’editore Farrar, Straus & Giroux, ho avuto l’opportunità di leggere in anteprima la sua ultima avventura nel mondo della storia della scienza e della paleontologia intitolata Il mio amato brontosauro, ufficialmente disponibile in libreria a partire da oggi [era il 16 aprile 2013. N.d.A.]. Dopo l’intervista del 2010, Brian ha quindi accettato ancora una volta di condividere con noi alcuni pensieri sull’atteso seguito di Written in Stones.
In occasione del lancio editoriale del volume sono felice di presentarvi questa nuova intervista (quella risalente al 2010 la trovate cliccando qui).

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Leonardo Ambasciano: Le sale e le esposizioni temporanee dedicate ai dinosauri in mostra nei musei di tutto il mondo riescono non di rado a incuriosire gli spettatori più giovani e a motivare un certo interesse, talvolta per tutta la vita, nei confronti della paleontologia. In alcuni casi questo fascino può persino condurre a intraprendere una carriera nella paleontologia o nella divulgazione scientifica.
Ancora oggi riesco a ricordare quel magico senso di stupore provato quando venti anni fa, ancora bambino, ebbi modo di visitare una mostra temporanea che proponeva come attrazione principale gli scheletri colossali (perlomeno agli occhi del bambino che ero) di Mamenchisaurus hochuanensis e di Tsintaosaurus spinorhinus, risorgenti dalle profondità abissali del tempo grazie a un sapiente gioco scenografico di luci su uno sfondo nero. Non erano però le dimensioni di quei titani ad affascinarmi. L’anno precedente, in un freddissimo tardo pomeriggio invernale, ero rimasto ammaliato dal calco di uno scheletro di un minuto Hypsilophodon foxii ospitato in una teca di vetro in una grande piazza centrale della mia città. Ciò che mi meravigliava era il poter assistere alla trasformazione di qualcosa che già conoscevo su carta, sotto forma di illustrazione o fotografia, a un oggetto in tre dimensioni carico di una storia lunga decine, se non centinaia, di milioni di anni. Alieni, ma su questa Terra e in un altro tempo. Era un’esperienza da mozzare il fiato.
Questa è la materia di cui è fatto il tuo libro, Il mio amato brontosauro: hai preso tutti i sogni e l’ispirazione possibile dai ricordi dell’infanzia e hai reso omaggio a tutti quei bambini incantati e pieni di stupore di fronte a un dinosauro, senza rinunciare a una prosa chiara e a un occhio scettico e razionale mai offuscato dal tuo entusiasmo. In quanto testimonianza di affetto, chiaro a partire dal titolo fino all’ultima pagina, il tuo libro è anche una narrazione molto personale, densa di ricordi autobiografici – senza citare la tua decisione di trasferirti nello Utah per essere più vicino alle formazioni geologiche ricche di fossili di dinosauro e alle istituzioni scientifiche che li studiano.
Potresti riassumere brevemente i tuoi primi incontri infantili con i dinosauri e con i fossili?

Figura 1. La mostra che nel 1992 portò in Italia alcuni dei più stupefacenti scheletri originali di dinosauri cinesi noti all’epoca (“Dinosaurs: Il mondo dei dinosauri: Italia 1991/1993” – in collaborazione con Natural History Museum, Shangai; Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento; Museo Friulano di Storia Naturale di Udine, Udine; Presidenza della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università “La Sapienza” di Roma).
Brian Switek: Mi piacerebbe tanto ricordare di più. I miei genitori mi raccontano che iniziai molto presto ad essere attratto dai dinosauri, ma non ricordo molto, almeno non fino ai cinque anni di età. Il primo giorno della scuola materna scarabocchiai una balena e uno pterosauro (non un dinosauro, ma ci siamo vicini!). Quasi ogni animale che fosse grande, imponente o bizzarro scatenava la mia immaginazione. Giocavo con i giocattoli di creature preistoriche, leggevo libri su di esse, guardavo i documentari e passavo ore a scarabocchiare dinosauri sui cartoncini colorati. Ciò che però ha cristallizzato il mio amore per i dinosauri è stata la mia prima visita all’American Museum of Natural History di New York. Era il 1988, credo, e mancava ancora un decennio prima che le grandi sale dedicate ai fossili venissero rinnovate. La Sala dei dinosauri giurassici era scura e polverosa e la vecchia installazione dello scheletro di “Brontosaurus” ne occupava il centro. La coda del sauropode penzolava inerte e un cranio di un altro animale spuntava dal collo, appeso al soffitto e tenuto basso. Eppure il “Brontosaurus” era magnifico, principalmente perché allora non immaginavo quanto vi fosse di sbagliato nella sua ricostruzione. Moltissimi dei libri che avevo all’epoca erano obsoleti e mostravano i dinosauri proprio così, e io mi trovavo di fronte alle loro vere ossa. Lo scheletro del “Brontosaurus” era davvero grande e squisito in ogni minimo dettaglio. Non potei fare a meno di immaginare come sarebbe dovuto apparire da vivo. Vedere le ricostruzioni o giocare con i modellini dei sauropodi nella sabbionaia del parco giochi era una cosa, ma trovarsi di fronte le ossa reali di quell’animale cementò la mia passione per i dinosauri. Non dimenticherò mai come mi sentii a camminare da bambino sotto le ossa del mio dinosauro preferito.

L.A.: «La conoscenza inizia con lo stupore» e, come afferma Keith M. Parsons, «quando pensiamo ai dinosauri, l’immaginazione deve quindi integrare i fatti» (2001: 75). Dall’ingarbugliata storia del cranio sbagliato usato per il “Brontosaurus alle proboscidi proposte per i sauropodi, dall’idea di W.D. Matthews secondo la quale alcuni dinosauri (come i sauropodi) invece di deporre le uova sarebbero stati capaci di partorire i loro piccoli come i mammiferi, dall’assenza totale di clavicole ipotizzata dal paleoartista G. Heilmann ai lambeosaurini subacquei, la storia della ricostruzione dei dinosauri si annoda sia con le teorie paleobiologiche più all’avanguardia sia con le ipotesi più bizzarre. Si tratta un intreccio affascinante tanto quanto le teorie più tradizionali registrate nei manuali canonici di biologia evoluzionistica e di paleontologia. Molte proposte stravaganti, che hanno avuto fortune alterne, si trovano nel tuo libro.
Qual è la tua idea “eretica” paleontologica o paleobiologica preferita?

Figura 2. Il trio di Parasaurolophus subacquei ricordato nel volume di Switek. Dall’album Panini intitolato Animali preistorici, di R. D’Ami e C. Porciani, p. 12. © Riproduzioni Editoriali D’Ami, 1992 (prima ed. 1974); stampato da Panini.
B.S.: Ce ne sono davvero tante per sceglierne solo una! La paleontologia è il luogo dove si incontrano la scienza e l’immaginazione, e una qualche dose di speculazione è sempre parte integrante della ricerca scientifica. Cerchiamo sempre di spingerci un po’ più in là quando si tratta di sapere come vivessero i dinosauri. Non dobbiamo quindi sorprenderci dell’esistenza di idee più o meno eccentriche sulla vita dei dinosauri.
Se dovessi fare solamente un esempio, penso che sceglierei il Parasaurolophus della mia infanzia. Quando per la prima volta ho incontrato i dinosauri, gli adrosauri erano sempre raffigurati mentre sguazzavano intorno ai laghi oppure mentre erano intenti a setacciare le alghe di cui si nutrivano dalle paludi. Tutto ciò aveva un senso considerando il nome con il quale erano conosciuti, “dinosauri a becco d’anatra” (credo che la definizione di “becco a vanga” sia molto più appropriata, ma non vedo molto consenso o diffusione intorno al nuovo termine, nonostante io l’abbia adoperato nel libro e sui miei blog). Come aveva notato il paleontologo John Ostrom negli anni Sessanta, gli adrosauri non possedevano alcuna evidente arma di difesa come spine o corna. In un tempo dominato dai tirannosauri l’unica possibilità per gli adrosauri di salvarsi era di fuggire nell’acqua. O almeno così si era soliti sostenere.
La cresta di alcuni adrosauri giocò a favore di quest’ultima interpretazione. In un ambiente acquatico la lunga cresta cava del Parasaurolophus sembrava un serbatoio di aria o una specie di bocchettone che potesse estendersi al di sopra della superficie dell’acqua. La credenza infondata che gli adrosauri dovessero essere animali anfibi condusse a queste interpretazioni. Solamente quando i paleontologi iniziarono a considerare la cresta come struttura indipendente altre possibilità divennero ovvie – un mezzo di esibizione specifico oppure uno strumento per produrre suoni. A partire dagli anni Ottanta, l’idea che la cresta dovesse servire come mezzo di segnalazione visiva o acustica aveva sostituito le altre spiegazioni, nonostante io continuassi ancora a vedere Parasaurolophus a nuoto nei libri e nei film. Penso che ormai quell’immagine sia fortunatamente passata di moda, anche se ci è voluto un bel po’ di tempo per sradicarla.
Quello citato è un buon esempio dei puzzle che le caratteristiche più bizzarre dei dinosauri rappresentano per i paleontologi. Creste stravaganti, sfilze di corna, file di corazze non compaiono senza motivo. Sono il risultato dell’evoluzione, ma determinare la funzione di tali strutture è un’operazione spossante quando non possiamo osservare gli animali da vivi, e persino immaginare la funzione di una qualche struttura non ci dice necessariamente come quella peculiarità si sia evoluta. Possiamo solo immaginare il modo in cui le idee che abbiamo ora su queste particolarità anatomiche cambieranno in seguito alle ricerche dei paleontologi.

L.A.: Ne Il mio amato brontosauro sottolinei l’innegabile valore della paleontologia dei dinosauri per la comprensione della storia della vita sulla Terra e per la teoria dell’evoluzione. La storia della disciplina è un campo in continuo cambiamento, denso di scoperte impreviste. Oggi il ritmo della ricerca è aumentato in modo vertiginoso e studi specialisti e fondamentali vengono pubblicati sulle riviste accademiche con cadenza quasi giornaliera. E tutto ciò non fa altro che rendere ancora più intrigante questo campo di studi.
Ora, se dovessi citare e ricapitolare i tre maggiori risultati di quello che il paleontologo Thomas Holtz Jr. ha etichettato come l’Illuminismo della paleontologia dei dinosauri, e i tre problemi ancora insoluti (ma che, si spera, verranno risolti nel futuro imminente), cosa sceglieresti?

B.S.: I traguardi raggiunti dall’Illuminismo dei dinosauri sono stati principalmente nei campi dell’applicazione di nuove tecniche per testare idee e per sviluppare nuove ipotesi. Il precedente Rinascimento dei dinosauri [collocato tra la fine degli anni Sessanta circa e la metà degli anni Ottanta. N.d.A.] ha spronato gli studiosi ad adottare un cambiamento nello studio dell’immagine dei dinosauri basato sulla loro anatomia complessiva, allo scopo di trattarli come animali piuttosto che come un ammasso di vecchie ossa, ma ci sono voluti parecchi anni prima che i paleontologi sviluppassero gli strumenti necessari per la verifica delle idee prodotte in quel precedente contesto. Per esempio, l’incremento nell’accesso generale alle tecnologie informatiche e l’aumento delle capacità di calcolo dei software hanno permesso ai paleontologi di produrre simulazioni nelle quali si è potuto esaminare sia la velocità della corsa sia la gamma dei movimenti possibili per vedere quanto in realtà i dinosauri fossero agili o veloci. Ci sono stati anche dei risvolti tanto positivi quanto inaspettati, come il fatto di essersi resi conto che i melanosomi presenti nelle piume dei dinosauri possono essere paragonati con quelli degli attuali uccelli per ricostruire il loro antico colore. I paleontologi stanno ora applicando nuove tecniche e nuove tecnologie provenienti dai campi della geochimica e dell’istologia, dal metodo degli elementi finiti (FEM), dalla biomeccanica, dalla computer grafica in 3D e da altri campi ancora per ricavare un numero maggiore di informazioni dalle ossa fossili come mai prima d’ora. Nel contempo, le nuove prove e i risultati ottenuti aprono nuovi scenari di indagine. Insomma, il successo dell’Illuminismo dei dinosauri è una combinazione dell’entusiasmante e rinnovato interesse che i paleontologi dimostrano quando considerano i dinosauri come animali reali (scaturito in origine dal Rinascimento dei dinosauri), con l’uso ponderato di quell’entusiasmo per affrontare razionalmente le domande alle quali mai avremmo pensato si potesse rispondere.
Certamente, gran parte della biologia dei dinosauri resta senza risposta. Non sappiamo ancora come fosse esattamente la loro fisiologia. Il peso delle prove in merito suggerisce che, in generale, i dinosauri fossero animali molto attivi che mantenevano temperature corporee elevate e più simili agli uccelli e ai mammiferi che ai rettili, ma oltre a questo livello generale di conoscenza c’è ancora molto che ignoriamo. In questo senso la questione fondamentale che stava al cuore del Rinascimento dei dinosauri, ossia la loro fisiologia, aspetta ancora una risposta definitiva. Un altro problema spinoso è rappresentato dal dubbio riguardo al dimorfismo sessuale. Differenze osservabili tra i due sessi sono state proposte più volte in passato, ma mai in un modo pienamente convincente. Questo accade perché i dinosauri non esibivano uno spiccato dimorfismo sessuale oppure perché ci sono imperfezioni nei nostri campioni ed errori nelle nostre tecniche di analisi? Forse la questione più grande di tutte resta il motivo della scomparsa dei dinosauri non-aviani [termine con il quale si indicano tutti i dinosauri eccetto gli uccelli. N.d.L.A.] alla fine del Cretaceo. Cosa li ha spazzati via, insieme ad altre forme di vita, e cosa ha permesso ai dinosauri aviani [ossia, gli uccelli. N.d.L.A.] di sopravvivere? Tutti concordano sull’identità degli attori principali – eruzioni vulcaniche, cambiamenti climatici e l’impatto di un asteroide – ma non conosciamo ancora il modo in cui quelle pressioni ecologiche si sono tradotte effettivamente nella loro estinzione. Alcuni dei più classici misteri dei dinosauri persistono ancora oggi.

L.A.: A giudicare dalla formidabile quantità di informazioni che hai raccolto in tutti questi anni di divulgazione scientifica sui tuoi blog, immagino che tu abbia fatto uno sforzo considerevole per la scelta dei materiali da trattare ne Il mio amato brontosauro.
C’è un argomento particolare che pensi sia rimasto escluso dalla redazione finale del libro?

B.S.: C’è sempre molto da dire sui dinosauri, molto più di quanto non possa essere ospitato in un qualunque libro. Mi sarebbe piaciuto scrivere di più sulle scoperte più nuove – gli spinosauridi, i rebbachisauridi e cose simili – ma sentivo che avrei dovuto concentrarmi sui dinosauri “classici” per poter fornire ai lettori un terreno più solido allo scopo di affrontare insieme la discussione dei concetti che volevo presentare. Avrei voluto scrivere di più sulla fisiologia dei dinosauri ma il capitolo non è venuto esattamente come avrei sperato. Secondo le intenzioni originali in quel capitolo avrei dovuto trattare dei dinosauri polari, e mi dispiace di averli lasciati fuori. Adoro immaginare i dinosauri piumati alle prese con la neve! Ma sapevo che aggiungendo quell’argomento poi non sarei riuscito a includere tutti i temi che desideravo. Volevo scegliere degli esempi specifici che potessero dimostrare quanto è cambiata la nostra comprensione dei dinosauri negli ultimi venticinque anni e penso che il libro abbia raggiunto questo obiettivo.

L.A.: «Abbiamo bisogno dei dinosauri» è il messaggio più importante del tuo libro. Abbiamo bisogno di questi animali principalmente per due ragioni molto importanti.
Il primo punto in ballo riguarda la storiografia dell’evoluzione, poiché fino a poco tempo fa i dinosauri sono stati considerati con sufficienza alla Tavola Alta della storia della vita [nelle università inglesi la High Table è il luogo dove prendono posto professori e ospiti illustri. N.d.A.]. Da qui la loro sostanziale esclusione dai libri di testo classici sull’evoluzione, dominati dagli invertebrati e dai mammiferi come protagonisti degli studi evoluzionistici più importanti. Ciò nonostante, come hanno notato recentemente Kevin Padian e Elise K. Burton (2012), i dinosauri sono stati un fattore chiave nei case studies più importanti per il progresso del pensiero macroevoluzionistico durante il XIX secolo, e questo perché hanno rappresentato i soggetti di studio preferiti dagli evoluzionisti più eterodossi dell’epoca (che amavano fare riferimento a tipologie evolutive ortogenetiche, degenerative o teleologiche per spiegare le bizzarrie delle forme animali fossili, tesi successivamente testate e falsificate). Non possiamo capire quel periodo senza una conoscenza aggiornata e profonda dei dinosauri.
In secondo luogo, come ha ricordato Scott D. Sampson, le persone impegnate nella divulgazione scientifica dovrebbero approfittare della fama dei dinosauri (come hai fatto nel tuo libro) per «reinserirci all’interno della struttura del tempo [sul pianeta Terra], per ricavare un senso dal nostro passato e per contemplare la nostra responsabilità nei confronti delle generazioni future» (2009: 277), così come per insegnare la «Grande storia» non teleologica della vita (276-277) e i concetti basilari del nostro background evolutivo sulla Terra.
Ora che hai terminato il tuo lavoro sui dinosauri (almeno per il momento), di quali capitoli della storia della vita pensi di occuparti nella tua prossima impresa letteraria, per collocare correttamente la nostra imprevedibile e stupefacente storia evolutiva?

B.S.: I dinosauri sono un punto di riferimento importante per la nostra comprensione del passato. I numeri sono talmente grandi che non riusciamo nemmeno a capire pienamente cosa significhino, ma dire che i dinosauri si sono evoluti 245 milioni di anni fa e che le forme non-aviane si sono estinte 66 milioni di anni fa ci aiuta a contestualizzare i miseri sei milioni di anni di evoluzione degli esseri umani. Quando discutiamo di preistoria è un luogo comune per gli scrittori dire che quella particolare creatura è vissuta prima o dopo il regno dei dinosauri – usiamo sempre i dinosauri per calibrare i riferimenti alla storia profonda.
Non direi però di aver chiuso con i dinosauri: voglio usare la conclusione de Il mio amato brontosauro come punto di partenza per un altro dei miei progetti. La documentazione fossile è una fonte ricca di informazioni sul modo in cui gli organismi hanno reagito ai cambiamenti climatici e come continuano a reagire. I fossili non documentano semplicemente il passato, ma possono fornirci alcuni indizi sulle forme future che potrebbe assumere la vita. Se le stime sull’attuale riscaldamento globale sono corrette, per esempio, significa che ci stiamo avvicinando a un effetto serra simile a quello visto l’ultima volta 55 milioni di anni fa durante il Massimo termico del Paleocene-Eocene (circa 10 milioni di anni dopo la scomparsa degli ultimi dinosauri non-aviani). Forse attraverso lo studio di come gli insetti, i mammiferi e le piante hanno reagito a qual periodo particolarmente caldo gli scienziati possono delineare come reagiranno gli organismi di oggi al cambiamento climatico indotto dalle attività umane e, pertanto, pianificare strategie di tutela e salvaguardia dell’ambiente.
Gli indizi sul futuro potrebbero benissimo celarsi nel passato.

Bibliografia citata:

Padian, K., & Burton, E.K. (2012). Dinosaurs and Evolutionary Theory, 1057-1072. In Brett-Surman, M.K., Holtz, T.R., Jr. & Farlow, J.O. (2012). (eds.). The Complete Dinosaur. Second Edition. Bloomington & Indianapolis: Indiana University Press.

Parsons, K.M. (2001). Drawing Out Leviathan: Dinosaurs and the Science Wars. Bloomington & Indianapolis: Indiana University.

Sampson, S.D. (2009). Dinosaur Odyssey: Fossil Threads in the Web of Life. Berkeley, Los Angeles & London: University of California Press.

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