sabato 11 gennaio 2014

Una partita a carte: cognizione, evoluzione, feste e qualche pavone. Ma soprattutto feste

Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, I bari, 1594. Da Wikipedia
ResearchBlogging.org
Di recente mi è stato chiesto di spiegare in breve come comprendere le feste, e soprattutto la presenza dei tratti comportamentali smaccatamente “esagerati” tipici delle feste, da un punto di vista evolutivo e cognitivo. Questo è il mio tentativo di introdurre una risposta, senza scendere nei dettagli delle sperimentazioni psicologiche o dei dati neurofisiologici, e senza affrontare il tema del rituale nella storia profonda degli ominini e negli animali non-umani – che comunque è lì, dietro l’angolo (Burkert 2003; McCauley 2011). Per chi fosse interessato ad approfondire questi temi, è vivamente consigliata la lettura della monografia di Dimitris Xygalatas intitolata The Burning Saints. Cognition and Culture in the Fire-Walking Rituals of the Anestenaria (2012) e incentrata, come si può evincere dal sottotitolo, sugli Anestenaria greci.
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Assumendo che per festa possiamo intendere qualsiasi rituale potenzialmente religioso ed euforico/disforico di una durata limitata, possiamo immaginare una determinata festa come un gioco di carte tra tre giocatori. Tenete a mente il quadro qui sotto perché tornerà utile a breve.

Luca da Leida, I giocatori di carte, 1525. Da Wikipedia
Il primo giocatore rappresenta la neurofisiologia e la cognizione, frutto della storia profonda del taxon Homo sapiens. Qui si collocano le strategie di manipolazione individuale e sociale come frutto di quella che è stata chiamata machiavellian intelligence hypothesis (Whiten 1999), ossia l’idea che «i processi cognitivi avanzati dei primati costituiscano adattamenti primari alla complessità speciale delle loro vite sociali, piuttosto che come risposte ai problemi posti dall’ambiente non-sociale come trovare cibo […]» (Whiten 1999: 495). Questo giocatore fa anche le veci dei sistemi neurofisiologici per alleviare lo stress imposto dai sistemi sociali e gerarchici dei primati e di Homo in particolare (Sapolsky 2006), e qui trova posto anche il modo in cui l’evoluzione ha modellato la psicologia sociale di Homo, con i suoi bias di apprendimento, di memoria e di diffusione delle informazioni, il conformismo di gruppo e la tendenza ad adottare o imitare modelli culturali ritenuti prestigiosi (Sperber 2010; Kahneman 2012).

Il secondo giocatore è costituito dal livello socioeconomico-produttivo, ossia dai sistemi di procacciamento, raccolta, accumulo e scambio del cibo e dei beni utili all’interno della contingente organizzazione sociale in voga. L’implementazione e l’intensità dell’agricoltura e dell’allevamento, ad esempio, vincolano la forma che può assumere la festa: ad esempio, i rituali dolorosi (o disforici) stanno in misura inversamente proporzionale rispetto all’intensità dell’agricoltura praticata, mentre quando quest’ultima è elevata sono più comuni rituali ad alta frequenza e ripetitività, emotivamente meno impegnativi (Atkinson & Whitehouse 2011). Entrambi i due tipi di rituale (che possono anche essere combinati a seconda della conformazione storico-sociale particolare) sono un escamotage culturalmente selezionato per ridurre e controllare la presenza dei free-rider, ossia di coloro che accettano i benefici del gruppo cui appartengono ma che non intendono pagare i costi sociali e/o che si sottraggono ai doveri comunitari. Queste tipologie di rituale rappresentano dunque una risposta ai problemi di defezione dei membri, facendo leva sui loro processi cognitivi: l’esposizione a quel tipo di stimolo (disforico o euforico) influenza a cascata la risposta agli stimoli successivi, in buona misura regolando problemi di vasta portata quale l’accesso alle risorse del gruppo. Grazie all’effetto duraturo sulla memoria degli individui, questi rituali imprimono quindi vividamente il senso di appartenenza a un gruppo limitato di individui (non a caso molti rituali di iniziazione attestati nelle documentazioni etnografiche sono disforici e avvengono durante l’età dello sviluppo, mentre rituali disforici esistono anche nelle comunità agricole ma si applicano perlopiù a gruppi contenuti e sottoposti a elevate pressioni socio-psicologiche, come gli iniziati nelle religioni misteriche antiche, o che condividono grossi rischi di defezione dei membri, ad es. nelle organizzazioni militari) (Bulbulia et al. 2013: 393). Infine, al di là dell’innovazione tecnologica che ha rappresentato, il sistema agricolo-pastorale è stato uno dei fattori fondamentali che ha contribuito a fissare le disuguaglianze sociali attraverso la concentrazione e il controllo sulla ridistribuzione del surplus produttivo (Sapolsky 2006).

Il terzo giocatore è l’evoluzione culturale che, a differenza di quella biologica, può agire in modalità intenzionali attraverso la selezione delle varianti e la trasmissione dei caratteri acquisiti. Insomma, è un po’ come il giovane baro sulla destra del quadro di Caravaggio intitolato, per l’appunto, I bari. Comunque, come ha sottolineato David Sloan Wilson, «anche le intenzioni diventano una forma di variazione casuale quando interagiscono con altre intenzioni e producono conseguenze impreviste» (in Smail 2008: 91).

Sul piatto, come posta in gioco, c’è l’organizzazione socio-familiare in atto, e con essa la fitness, ossia la capacità di trasmettere i propri geni alla generazione successiva. A questa aggiungiamo la capacità di trasmettere i propri memi, ossia le rappresentazioni culturali, le idee (per un panorama cfr. Laland & Brown 2011). Geni e idee sono egoisti nel senso che non importa quanto possano essere utili ai loro portatori, essi cercheranno di aumentare la propria presenza e di diffondersi epidemiologicamente e competitivamente anche a scapito dei loro portatori, come la proliferazione delle cellule tumorali in un organismo o un rituale festivo potenzialmente maladattativo, come lo scambio competitivo di beni durante il potlatch (una forma parossistica di scambio reciproco di doni che può condurre alla rovina dei membri della comunità). La fitness del gruppo familiare può inoltre essere messa tra parentesi, per così dire, attraverso determinate scelte fortemente maladattative per il singolo - ma efficaci per la sua famiglia: sacerdotesse vergini, membri di ordini religiosi, e qualunque altro tipo di ruolo istituzionale e prestigioso che osservi forme di castità, socialmente irreggimentato, sono ruoli sociali cui corrisponde un investimento duplice poiché limita i membri familiari in età spesso fertile contribuendo ad evitare la dispersione del patrimonio (cui è connessa la capacità di gestire politiche matrimoniali), e contribuisce ad accrescere il prestigio della famiglia cui i membri implicati appartengono. In questo senso, l’obiettivo è il mantenimento dello status quo egemonico della classe sociale (cfr. Smail 2008).

Immaginiamo ora che nella stanza, sugli altri tavoli, si stiano giocando altre partite, come in un torneo, nelle quali il primo giocatore è sempre lo stesso, mentre gli altri giocatori sono varianti di quello che abbiamo osservato al nostro tavolo. Questa stanza è la cultura del taxon Homo nello spazio e nel tempo. Dato che il tempo di gioco è costituito dal tempo profondo dell’evoluzione sul pianeta Terra, alcuni tavoli sono vuoti perché alcuni giocatori nel frattempo si sono estinti. (Essendo il gioco di carte una metafora, occorre chiarire che non c'è alcun “premio” finale al torneo né perfezione alcuna nelle strategie di gioco: il gioco e la sua durata coincidono con la durata temporale del taxon Homo sulla scala geologica del pianeta Terra. Qui l’analogia ludica trova il suo dente di arresto).

Ritorniamo al nostro tavolo. Diciamo che, stante il fatto che il primo giocatore o non ci vede bene o gioca bendato (non ha quindi intenzionalità), la sua strategia “alla cieca” vincola quelle degli altri due giocatori i quali, come nel quadro di  Luca da Leida, possono pianificare strategie più o meno comuni. Pertanto, data la conformazione neurofisiologica e cognitiva di Homo, vengono a crearsi a determinati intervalli di tempo delle situazioni di stasi (chiamate anche livello mesostorico, sensu Sørensen 2011). In questi momenti, le feste sono stabili e le rappresentazioni condivise che le sostengono raggiungono una diffusione sufficiente nella popolazione da poter generare una “comunità immaginata”, quale che sia. La conformazione peculiare e storica assunta dalla festa religiosa (o dal rituale), in questi casi, esprime contemporaneamente i seguenti motivi cardinali:
  • è il frutto di una supervisione mitocratica top-down, per cui alcuni individui che godono di prestigio socio-religioso, sfruttando un meccanismo cognitivo preciso, possono diffondere e imporre in modo più efficace le proprie rappresentazioni a scapito delle interpretazioni individuali (svuotamento delle risorse cognitive nelle interazioni religiose: Schjoedt et al. 2013);
  • grazie alla condivisione di un’elevata stimolazione sensoriale (euforica o disforica) la festa rende maggiormente coesa la comunità (o la parte di comunità) implicata nel rituale (Xygalatas et al. 2013);
  • con l’impegno nello svolgimento i membri segnalano l’un l’altro e in modo fisicamente dispendioso (a seconda del tipo di festa) il proprio livello di affidabilità sociale (Atran 2002);
  • se la comunità è abbastanza vasta, è probabile che un tipo peculiare di divinità onnisciente supervisioni loperato dei singoli. Dato che è stato dimostrato che le divinità moralizzatrici che 'intervengono' punendo i free-rider sono più comuni nelle società più grandi (Johnson 2005), dove difatti è necessario un controllo sociale maggiore nei confronti di individui che potenzialmente non si conoscono tra di loro, è possibile che queste siano state sottoposte a competizione intraspecifica e a selezione culturale in parte top-down e legata a sua volta alla sedentarietà e alla produzione di beni di consumo alimentare in situ (Bulbulia et al. 2013).
Le feste si contraddistinguono soprattutto per il loro carattere euforico (anche se bisogna stare attenti: anche un rituale euforico che prevede il consumo smodato di vino può diventare disforico. La sbornia del giorno dopo docet). Non è raro che esse inglobino delle c.d. “trasgressioni ritualizzate”, che hanno luogo quando «la stabilizzazione di una norma contribuisce alla stabilizzazione di una forma ritualizzata e arginata della norma opposta» (Bloch & Sperber 2004: 733), ovvero quando esistono certi tipi di comportamenti che possiedono attrattive cognitive che le rendono sia diffuse sia ostacolate (da altre rappresentazioni). In questo senso, esse sono delle valvole di sfogo socialmente implementate quando il secondo e il terzo giocatore raggiungono una sorta di equilibrio implicito.
Come il sollievo che le mitologie religiose possono offrire all’idea della morte (talvolta narrate durante o dopo le stesse feste; Atran 2002: 177-181), così anche le trasgressioni ritualizzate offrono appigli cognitivi e valvole di sfogo sociali, per quanto estemporanee e soggette a mutamento. Anzi, si potrebbe persino dire che ogni festa mai esistita, e così i rituali religiosi, se considerati nel quadro del tempo profondo che connota la partita tra i tre giocatori, non siano che strutture strategiche frutto di un’interazione tra risalenti vincoli storici e scelte culturali intenzionali e contingenti.

Queste “trasgressioni ritualizzate”, infine, vanno comprese come un sottoinsieme del seguente fatto: tutti i rituali sono esagerazioni, e le feste ne rappresentano l’aspetto forse solamente più vistoso. Nel caso dell’evoluzione culturale, come abbiamo già visto, il conformismo di gruppo e il bias del prestigio individuale sono elementi che possono facilmente condurre all’inclusione di elementi maladattativi. L’esagerazione (potenzialmente maladattativa) dei tratti comportamentali è tipico delle costose segnalazioni di appartenenza comunitaria che contraddistinguono le credenze religiose, così come si riscontra nelle mode e nella «marcatura simbolica dei confini fra i gruppi» (Richerson & Boyd 2006: 228). Abbiamo qui a che fare grosso modo con lo stesso meccanismo che presiede alla selezione sessuale dei tratti fenotipici potenzialmente maladattativi. Per citare un esempio celeberrimo, la vistosa coda del pavone maschio (un carattere sessuale secondario) è, di fatto, un elemento che nuoce all’individuo poiché lo rallenta, lo intralcia e lo rende più soggetto alla predazione. Ciò nonostante è preferito dalle pavonesse, per cui quella coda abnorme diventa la segnalazione estremamente costosa che, nonostante tutti gli impedimenti e i rischi cui quella coda espone, quel pavone maschio è sopravvissuto fino al corteggiamento della femmina (A. Zahavi & A. Zahavi 1997; Luzzatto 2008: 44-47). La scelta femminile, insomma, ha ricadute sia sulla frequenza dei geni delle code lunghe dei maschi sia su quella della preferenza delle femmine per quelle stesse code: «il processo si autoalimenta in una spirale esplosiva che può far diventare esagerato un tratto in origine correlato con la fitness» (Richerson & Boyd 2006: 228).

[NOTA: aggiornato il 31 gennaio 2014]

Atkinson, Q.D. & Whitehouse, W. (2011). The Cultural Morphospace of Ritual Form: Examining Modes of Religiosity Cross-Culturally Evolution and Human Behavior, 32 (1), 50-62 DOI: 10.1016/j.evolhumbehav.2010.09.002

Atran, S. (2002). In Gods We Trust: The Evolutionary Landscape of Religion, Oxford University Press, Oxford-New York

Bloch, M. & Sperber, D. (2002). Kinship and Evolved Psychological Dispositions: The Mother’s Brother Controversy Reconsidered Current Anthropology, 43 (5), 723-748 DOI: 10.1086/341654 Bulbulia et al. 2013

Bulbulia, J., Geertz, A.W., Atkinson, Q.D., Cohen, E., Evans, N., François, P., Gintis, H., Gray, R.D., Henrich, J., Jordon, F.M., Norenzayan, A., Richerson, P.J., Slingerland, E., Turchin, P., Whitehouse, H., Widlok, T. & Wilson, D.S. (2013). The Cultural Evolution of Religion, in Richerson Peter J. e Morten H. Christiansen (eds.), Cultural Evolution: Society, Technology, Language, and Religion, The MIT Press, Cambridge, MA, pp. 381-404

Burkert, Wa. (2003). La creazione del sacro. Orme biologiche nell’esperienza religiosa, Adelphi, Milano (ed. orig. Creation of the Sacred: Tracks of Biology in Early Religions, Harvard University Press, Cambridge, MA-London 1996)

Johnson, D. (2005). God's punishment and public goods: A test of the supernatural punishment hypothesis in 186 world cultures Human Nature, 16 (4), 410-446 DOI: 10.1007/s12110-005-1017-0

Kahneman, D. (2013). Pensieri lenti e veloci, Mondadori, Milano (2012; ed. orig. Thinking Fast and Slow, Farrar, Straus & Giroux, New York 2011)

Laland, K.N. & Brown, G.R. (2011). Sense & Nonsense: Evolutionary Perspectives on Human Behaviour. Second Edition, Oxford University Press, Oxford-New York

Luzzatto, M. (2008). Preghiera darwinana, Raffaello Cortina Editore, Milano

McCauley, R.N. (2011). Why Religion Is Natural and Science Is Not, Oxford University Press, Oxford-New York

Richerson, P.J. & Boyd, R. (2006) Non di soli geni. Come la cultura ha trasformato l’evoluzione umana, Codice edizioni, Torino (ed. orig. Not by Genes Alone: How Culture Transformed Human Evolution, The University of Chicago Press, Chicago-London 2005)

Sapolsky, R.M. (2006). Perché alle zebre non viene l’ulcera?, Orme Editori, Milano (ed. orig. Why Zebras Don’t Get Ulcers?, Owl Book, Henry Holt & Co., New York 2004)

Schjoedt, U., Sørensen, J., Nielbo, K.L., Xygalatas, D., Mitkidis, P., & Bulbulia, J. (2013). Cognitive Resource Depletion in Religious Interactions Religion, Brain & Behavior, 3 (1), 39-55 DOI: 10.1080/2153599X.2012.736714

Smail, D.L. (2008). On Deep History and the Brain, University of California Press, Berkeley-Los Angeles-London

Sørensen, J. (2011). Past Minds: Present Historiography and Cognitive Science, in Martin, Luther H. e Jesper Sørensen (eds.), Past Minds: Studies in Cognitive Historiography, Equinox, London-Oakville, pp. 179-196

Sperber, D. (2010). The Guru Effect Review of Philosophy and Psychology, 1 (4), 583-592 DOI: 10.1007/s13164-010-0025-0

Whiten, A. (1999). Machiavellian Intelligence Hypothesis, in Wilson, Robert A. e Frank C. Keil (eds.), The MIT Encyclopedia of the Cognitive Sciences, The MIT Press, Cambridge, MA-London, pp. 495-497

Xygalatas D, Mitkidis P, Fischer R, Reddish P, Skewes J, Geertz AW, Roepstorff A, & Bulbulia J (2013). Extreme rituals promote prosociality. Psychological science, 24 (8), 1602-5 PMID: 23740550

Zahavi, A. & A. Zahavi (1997). Il principio dell’handicap: la logica della comunicazione animale, Einaudi, Torino (ed. orig. The Handicap Principle: A Missing Piece of Darwin’s Puzzle, Oxford University Press, Oxford)

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