martedì 23 aprile 2013

Scienza & religione o scienza vs. religione?: Why Religion Is Natural and Science Is Not di Robert N. McCauley #2

Robert N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, Oxford University Press, Oxford-New York 2011.
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  1. i paragoni solitamente condotti tra scienza e religione sono basati su fondamenti errati.
McCauley spiega questo primo punto tramite una tabella esplicativa che permette di sintetizzare le asimmetrie cognitive tra le diverse modalità di cognizione:

Adattato dal volume di McCauley, cit., p. 231 (Fig. 5-1).

Dal punto di vista della cognizione un paragone tra scienza e religione deve tenere conto della disposizione asimmetrica delle quattro caselle elencate nella tabella sovrastante. Innanzitutto, religione e scienza operano a livelli differenti, dei quali il primo
«dipende soprattutto dalle inclinazione naturali della mente umana e, perciò, ricorre in qualunque cultura umana, mentre il secondo è una funzione di organizzazioni sociali comparativamente rare che richiedono a) la padronanza di norme di ragionamento e di concezioni radicalmente controintuitive, e b) la disponibilità pubblica di processi, prodotti e evidenze fondamentali» [1].
ResearchBlogging.org Perché scienza e religione operano a livelli cognitivi differenti? Esistono due tipologie di cognizione, come si può osservare nella prima colonna del grafico, a sinistra: una è naturale, ossia «concernente le parti sotterranee della vita mentale composte da un pensiero perlopiù immediato, inconscio, agevole, intuitivo – e i cui contenuti e origine si dimostrano spesso ardui da esplicitare» da parte del soggetto, mentre la seconda è tipica del pensiero «più lento, conscio, faticoso, riflessivo» [2]. A sua volta la cognizione naturale si suddivide in naturalità praticata (practiced naturalness) e naturalità maturativa (maturational natural cognition) [3] . La prima è una vasta esperienza in un qualche dominio, ovvero l’esperienza accumulata in un dato campo da cui consegue la capacità di fornire un giudizio rapidamente (ad esempio, chi è impiegato nell’edilizia e può decidere in breve tempo quale materiale utilizzare in un data struttura). La naturalità maturativa è invece un pensiero immediato, intuitivo, che viene in mente in modo inaspettato quando si ha a che fare con ambiti nei quali non abbiamo esperienza o per i quali non abbiamo istruzioni valide per orientarci; ad esempio, come esprimere qualcosa nella madrelingua che però non si è mai sentita prima, conoscere lo stato emotivo di chi ci sta di fronte osservando solamente e di sfuggita l’espressioni del viso oppure le conseguenze del contatto anche minimo con agenti ritenuti contaminanti nei bambini in età scolare [4]. Purtroppo, tale modalità immediata di pensiero è soggetta a errori di rappresentazione.
Per quanto riguarda il ruolo della cultura, l’infiltrazione culturale non ha alcuna conseguenza sull’acquisizione delle capacità maturative ma si limita a modulare e a fornire a queste ultime caratteristiche peculiari. I diversi tipi di linguaggio diffusi nel mondo intero, ad esempio, non hanno alcun impatto differenziale nello sviluppo dell’acquisizione del linguaggio in quanto capacità maturativa, che segue invece pattern comuni e spontanei in qualunque cultura umana.
Il secondo punto cognitivo da segnalare è la profonda differenza inerente alla modalità predefinita di spiegazione del modo in cui funziona il mondo:
«la religione presume che le spiegazioni più acute, in ultima istanza, debbano sempre affidamento alla causalità degli agenti. La scienza no» [5].
Un punto che McCauley non esita a sottolineare è che le religioni, nonostante la varietà e il fatto che sorgano continuamente nuove credenze organizzate, condividono un insieme estremamente limitato di caratteristiche e di varietà (mito, rituale, credenze relative ad agenti intenzionali con caratteristiche controintuitive, spazi sacri, ecc.): come scrive Steven Pinker
«facendo un paragone con le più incredibili idee della scienza moderna, le credenze religiose si distinguono per la loro mancanza di immaginazione» [6].
In definitiva, mentre la scienza sovverte i vincoli cognitivi naturali e produce nuove idee radicalmente controintuitive, la religione, nella sua accezione popolare che asseconda la cognizione maturativamente naturale, vi obbedisce e (ri)propone da sempre rappresentazioni modestamente controintuitive e con minime variazioni sul tema.
L’elaborazione teologica, però, può produrre idee tanto controintuitive quanto le più radicali scoperte della scienza contemporanea. I teologi di fatto si avvalgono di molti strumenti concettuali utilizzati dagli scienziati: 
«i teologi producono spesso complicate e astratte rappresentazioni religiose che non sono più semplici da comprendere di quanto non lo siano le più esoteriche idee scientifiche» [7].
Come si spiega questo punto? Innanzitutto bisogna astenersi dal trarre conseguenze eccessivamente semplificate o ideologicamente orientate. McCauley sottolinea giustamente che i sistemi naturali maturativamente cognitivi e le inferenze che soggiacciono alla religiosità popolare (ossia, lo ripetiamo, a quell’insieme di caratteristiche cognitive maturativamente naturali e cooptate nel pensiero religioso) non rappresentano esattamente i prodromi della teologia; allo stesso modo, quelle che Massimo Piattelli Palmarini ha definito come «scorciatoie intuitive» (ovvero, modalità rapide di risposte cognitive, efficaci nella vita quotidiana, ma che sacrificano la precisione per la velocità rischiando potenzialmente di sostenere illusioni sensoriali) non corrispondono del tutto ad una «forma minore del ragionamento scientifico» [8]. In effetti, un primo risultato paradossale che emerge dall’analisi cognitiva è che la teologia e la scienza condividono più caratteristiche tra di loro di quanto non facciano con quelle che sarebbero le rispettive controparti (ossia rispettivamente, religione popolare e spiegazioni formulate sulla base del senso comune).
McCauley riassume quindi come segue i punti che accomunano cognitivamente la teologia con la scienza, e che distanziano la teologia dalla “religione popolare”. La teologia, dunque: 
  1. si basa sulla produzione codificata di letteratura, contraddistinta da aspetti teorici, polemici, analitici e sintetici, per cercare prove a favore delle proprie asserzioni;
  2. fa uso degli stessi strumenti della scienza (probabilità, deduzione, induzione e talvolta abduzione);
  3. fino al XVII secolo e.v. ha usufruito delle conquiste scientifiche precedenti;
  4. richiede la conoscenza approfondita di strumenti intellettuali per i quali sono necessari lunghi periodi di studio e preparazione [9].
Le differenze tra teologia e scienza rintracciate da McCauley vengono invece elencate come segue:
  1. la teologia formula ipotesi non testabili empiricamente in alcun modo;
  2. la teologia continua a moralizzare ambiti e a giudicare eventi non riconducibili all’intenzionalità in natura, come se fossero espressione di un agente: «La scienza concepisce scrupolosamente meccanismi controintuitivi per spiegare gli eventi catastrofici, nei confronti dei quali gli specialisti religiosi dimostrano [al contrario] una pulsione incontrollabile alla moralizzazione, allo stesso modo degli eventi quotidiani e comuni […]»;
  3. la teologia ha agito nella storia perlopiù come un instrumentum regni, ossia in quanto forza allineata al potere politico-sociale che ha fornito giustificazione e sostegno per le cleptocrazie delle organizzazioni statali, investite da un diritto divino a governare (dalle statualità degli Inca e degli Egizi, fino alle monarchie europee dei secoli passati) [10].
continua...

[1] Robert N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, Oxford University Press, Oxford-New York 2011, p. 236.
[2] Vale la pena ricordare che i concetti di “subcosciente” o “inconscio” utilizzati in questo post non equivalgono ai corrispettivi psicoanalitici.
[3] R.N. McCauley, Why Religion Is Natural..., cit., p. 4.
[4] Ivi, p. 5.
[5] Ivi, p. 26.
[6] Ivi, p. 152 (cit. da Steven Pinker, How the Mind Works, Norton, New York 1997, p. 557).
[7] Ivi, p. 153.
[8] Ivi, p. 237 (cit. da Massimo Piattelli Palmarini [ed.], Inevitable Illusions: How Mistakes of Reason Rule Our Minds, Wiley, New York 1994, pp. 133-137 [ed. or. it. L’illusione di sapere: che cosa si nasconde dietro i nostri errori, Mondadori, Milano 1993]).
[9] Ivi, pp. 212-213.
[10] Ivi, pp. 213-215. Una sintesi efficace di tali punti è reperibili nella discussione di McCauley in  A Cognitive Science of Religion Will Be Difficult, Expensive, Complicated, Radically Counter-Intuitive, and Possible: A Response to Martin and Wiebe, in «Journal of the American Academy of Religion», 80 (3), 605-61, 2012, in part. pp. 606-607.

Art. indicizzato in Research Blogging:
McCauley, R. (2012). A Cognitive Science of Religion Will Be Difficult, Expensive, Complicated, Radically Counter-Intuitive, and Possible: A Response to Martin and Wiebe Journal of the American Academy of Religion, 80 (3), 605-610 DOI: 10.1093/jaarel/lfs031

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