venerdì 30 marzo 2012

La sfida di Derrida: indecostruibilità, democrazia e scienza

Terza cultura italiana: storia di un incontro mancato. Parte IV
[Jacques Derrida; ritratto di PabloSecca - Wikipedia]
Uno dei pregiudizi più perniciosi in ambito filosofico (soprattutto nel campo della filosofia della scienza) è quello che grava sul decostruzionismo di Jacques Derrida (nato Jackie; 1930-2004). Come abbiamo visto per l'equivoco che confonde "evoluzione" con "progresso", persistente in modo implicito nella storia delle discipline umanistiche (e in modo esplicito in quelle teologiche) e nella storia della scienza, anche qui sussiste una sorta di malinteso generale, che vale la pena di porre in evidenza per constatare quanto la sua tenace (r)esistenza sia controproducente e dannosa per una migliore comprensione degli strumenti concettuali filosofici.
Sgombriamo subito il campo dai fraintendimenti: molti studi postmoderni hanno promosso e diffuso colpevolmente una deplorevole diffidenza nei confronti della scienza tout court. Il loro modello di riferimento? Eccolo: se le interpretazioni sono tutto ciò che si dire della realtà, allora la scienza è un'interpretazione. In quanto tale essa, nelle varie discipline che la compongono, si può demolire, rivelando così gli impliciti schemi composti da pregiudizi ideologici, sociali, androcentrici o quant'altro che la sostengono [1]. Questo tipo di pensiero è stato applicato indiscriminatamente e in modo assurdo, fino a giungere a considerare la teoria della relatività come sessualmente connotata in senso maschilista [2]. Tali eccessi però c'entrano ben poco con colui che è ritenuto il padre fondatore del filone decostruzionista/postmoderno, ossia Derrida. Non si può in effetti giudicare uno strumento dall'uso (improprio) che se ne può fare.
Innanzitutto, la decostruzione derridiana non equivale affatto ad un relativistico smantellamento concettuale [3]. Il decostruzionismo, nelle intenzioni originarie di Derrida, contemplava il «tentativo di esplicitare le contrapposizioni del discorso filosofico, mettendo in luce le rimozioni su cui si istituiscono, i giudizi di valore che incorporano spesso inavvertitamente o almeno implicitamente, e dunque, di rivelare la struttura totale della nostra razionalità» [4]. L'accento è sul "discorso filosofico", non  certo sull'uso del decostruzionismo come arma da rivolgere contro la ricerca scientifica.
La fase seguente è uno smontare quasi industriale dei vari pezzi che compongono le interpretazioni ideologiche e che le strutturano, per comprendere come funziona il meccanismo che anima quel particolare concetto. Per fare ciò si segue un modello, una progettazione alla rovescia (tema comune anche alle scienze cognitive) che a sua volta dovrebbe soprattutto mostrare «connessioni [e rivelare] cornici» [5]. In tal modo sarebbe possibile mantenere visibile la filigrana, per così dire, del quadro concettuale e rileggere il concetto specifico in esame, e la sua formazione, in modo psicoanalitico lato sensu: «se le strutture sono forme di rimozione, si rivelano attraverso delle resistenze, proprio come il profilo di una società e di una forma di vita si delinea nei tabù che la contraddistinguono» [6].
Ad ogni modo, esiste un punto in particolare sul quale vale la pena di insistere. Per Derrida esiste una sorta di limite di fronte al quale non si può procedere e tale è il concetto di «democrazia» («non c’è democrazia senza decostruzione, non c’è decostruzione senza democrazia» e, ancora, «La democrazia è l’autos dell’auto-limitazione decostruttiva») [7] o, nell’interpretazione di Maurizio Ferraris, il concetto di “giustizia”, ossia «l’indecostruibile […] di fronte alla realtà e al suo valore» [8]. Ferraris si distingue inoltre dall'esegesi postmoderna generale (secondo la quale il testo e le sue interpretazioni sono tutto ciò che si possa dire della realtà) per aver inserito nell'interpretazione del pensiero derridiano il concetto di inemendabilità riguardo all'esistenza fisica dei documenti: «inemendabile» è un concetto che Ferraris impiega per definire che «la cosa [la documentazione, a qualunque tipologia essa appartenga. NdA] non può essere corretta così come possiamo correggere le nostre credenze e i nostri saperi» [9]. Torneremo più avanti sull'importanza di questo concetto.
Ora, il concetto derridiano di democrazia interseca quello di scienza intesa come continua ricerca: entrambi  i temi rappresenterebbero «la condizione indecostruibile di ogni decostruzione, certo, ma una condizione a sua volta in decostruzione» [10]. Il filosofo francese parla di un vero e proprio impegno preso nei confronti della ragione o della democrazia, ossia «la critica, [la] messa in questione […] della sovranità (in quanto posizione performativa o potere) in nome della sua stessa condizione di possibilità (l’apertura all’evento, all’altro, ecc.)» [11], perché, nelle medesime parole di Derrida, «questa è l’unica possibilità per pensare, razionalmente una cosa come un avvenire e un divenire della ragione. È anche, non dimentichiamolo, ciò che dovrebbe liberare tanto il pensiero quanto la ricerca scientifica dal controllo e dal condizionamento da parte di vari poteri o istituzioni politici, militari, tecnoeconomici, capitalistici» [12]. E, aggiungeremmo, te(le)ologici.
Poiché il “presente” dello stato della democrazia, di ogni democrazia, rappresenta una conquista graduale e non assoluto dato una volta per tutte, così come non lo è neppure la scienza [13], Derrida considera la democrazia, e perciò per traslato, diremmo noi, la scienza, come «a venire», come agente in costante formazione. Insomma, la frantumazione di una sola ottica generale in nuove prospettive non può che essere salutare poiché, come nella ricerca scientifica, crea punti di vista relativi che fondano un nuovo punto di partenza per la ricerca: se la ricerca, come la democrazia, «venisse sostituita da una verità assoluta non avrebbe più ragion d’essere» [14]. Da questo punto di vista non possiamo che sottoscrivere l’affermazione per cui la «decostruzione [è] immediatamente costruzione di qualcosa di diverso» [15].
Ora, tirando le somme del discorso, cosa c'entra tutto questo discorso filosofico con la storia dell'evoluzionismo?
  1. Il decostruzionismo è uno strumento che può aiutare a porre sotto esame critico le presunte rivendicazioni metafisiche di determinate correnti filosofiche che agiscono anche nella ricerca scientifica, rivelando le reali ed implicite aspirazioni sociali o politiche; nel caso creazionista, può permettere la messa a nudo di un filtro religiosamente (o teleologicamente) connotato nell'interpretazione dei materiali scientifici - i quali invece sono eticamente neutri (si dovrebbe notare che la traduzione politica di uno schema creazionista può avere conseguenze sociali e ricadute sull'intera comunità: si pensi per ipotesi ai fondi stanziati per certi filoni della ricerca scientifica da un governo mosso da convinzioni creazioniste);
  2. l'accento posto sulla vigilanza derridiana di fronte alle manipolazioni teleologiche riecheggia anche in un simile appello di Stephen Jay Gould. Questi aveva auspicato una maggiore attenzione da parte della comunità scientifica nei confronti dei rischi connessi ad un uso distorto, estremistico e socio-politico di determinati concetti evoluzionistici. Di fronte al rischio sempre presente di appropriazioni ideologiche dei modelli scientifici, «la miglior difesa che uno scienziato possa opporre», ha ricordato Gould, «[…] risiede in una combinazione che sembra associare due caratteristiche eterogenee, ossia vigilanza e umiltà: vigilanza per combattere la minaccia di un uso improprio [dei concetti scientifici. NdA]; umiltà nel riconoscere che la scienza non può, in linea di principio, trovare le risposte alle questioni morali» [16]. [Edit] Ad ogni modo Gould, che scriveva in un periodo ancora non dominato dall’esplosione a livello mondiale del creazionismo e dell’Intelligent Design, credeva in una coesistenza rispettosa dei due magisteri separati della scienza e della religione. Alla luce della situazione contemporanea, forse potremmo oggi intendere l’appello all’umiltà escludendo che la scienza non possa fondare una morale (l’aumento delle conoscenze scientifiche permette di regolare in modo normativo il comportamento etico-sociale), e prendendo atto del fatto che, purtroppo, le manipolazioni sociali e politiche, le distorsioni mediatiche e le giustificazioni ed interpretazioni extra-epistemiche presenti nel campo della ricerca scientifica ed accademica in generale rendono il passaggio tra scienza e etica né automatico né palese [End Edit];
  3. l'enfasi sull'inemendabilità del documento è capitale nell'analisi dell'importanza della paleontologia all'interno del paradigma storico. I fossili sono un documento inemendabile della catena contingente di eventi evolutivi che ha segnato la storia della vita sulla Terra;
  4. Il decostruzionismo può essere utile anche in tutte le analisi critiche delle storiografie appartenenti al secolo appena trascorso e non solo (umanistiche e, soprattutto, scientifiche), cooperando per smascherare le narrazioni teleologiche e finalistiche spesso in voga in svariati ambiti disciplinari. Si pensi solamente all’idea di un progresso continuo verso l’uomo, e in particolare verso una determinata conformazione culturale euro-occidentale, in quanto «espressione confortevole dell’inevitabilità e superiorità umana» [17].
[Edit] L'associazione tra ricerca scientifica e tecnologia viene spesso data per scontata ma, a ben guardare, non appare fondata su valide giustificazioni. Come ha ricordato Telmo Pievani durante una recente lectio magistralis presso l'Aula Magna del Rettorato dell'Università di Torino, se pensiamo alla ricerca e alla produzione tecnologica cinese e alla situazione politica e sociale locale, viene naturale pensare che la "scienza" (qui intesa sovrapposta in toto all'etichetta "tecnologia") non equivalga a nessun concetto di democrazia proveniente dalla filosofia politica. Il problema risiede solamente nell'intrusione semantica di "tecnologia" all'interno del concetto di "ricerca scientifica", che sono e restano invece due ambiti differenti. Difatti, la ricerca scientifica e la tecnologia sono state dissociate sulla base di presupposti cognitivi, e presentando una serie di dati convincenti, da Robert N. McCauley nel suo recente volume intitolato Why Religion Is Natural and Science Is Not, (Oxford University Press, Oxford-New York 2011). Ai fini del nostro intervento, ci preme dunque sottolineare i punti in comune tra i modelli ideali di scienza e democrazia, sui quali torneremo nel prossimo (e ultimo) contributo della serie [End Edit].
L'equazione derridiana tra scienza e democrazia è non solo accettata (in modo implicito) ma vivificata dalla stessa attività di ricerca scientifica. Chi crede che l'attuale conoscenza evoluzionistica sia "solo" una teoria, che questa debba essere assolutamente rifondata sulla teologia naturale, sull'Intelligent Design o quant'altro, che la società sia piagata dall'assenza di senso trascendente a causa del darwinismo e dei suoi mali, si pone esplicitamente al di là di un discorso basato sui principi di verificabilità delle asserzioni, rifiutando per fede di fornire l'onere delle prove positive.
Si può fare scienza e ricerca anche senza condividere in toto determinati assunti per motivi di fede o di credenze personali; la scienza non richiede di aderire ad alcun dogma o credo, sia esso religioso o laico. Ciò che non si può fare è mettere in discussione gli ultimi secoli di ricerca scientifica, né imporre un filtro dogmatico o teologico alla ricerca. Ben vengano i contributi radicali e radicalmente critici, il dissenso costruttivo, il dubbio che contribuisce a chiarire. Sono tutti valori che una robusta democrazia dovrebbe incoraggiare, ma sia nella politica (almeno idealmente) sia nella ricerca scientifica queste proposte devono sempre presentare un contesto e le prove delle affermazioni che si vogliono sostenere. Se non pensate di poter porre fiducia nell'evoluzione (che certamente non necessita della vostra fiducia perché è un dato di fatto), allora potreste smettere tranquillamente di utilizzare gli antibiotici [18].

continua...

[1] Cfr. ad es. Luigi Luca Cavalli Sforza, L’evoluzione della cultura, Codice edizioni, Torino 2010, p. 44 (1a ed. 2004).
[2] Per approfondire sugli eccessi antiscientifici che hanno caratterizzato certi studi postmoderni si rimanda ai seguenti testi: Alan Sokal e Jean Bricmont, Imposture intellettuali. Quale deve essere il rapporto tra filosofia e scienza?, Garzanti, Milano 1999 (ed. or. Impostures intellectuelles, Odile Jacob, Paris 1999 2a ed., 1997 1a ed.); A. Sokal, Beyond the Hoax: Science, Philosophy and Culture, Oxford University Press, Oxford-New York 20102 (2008 1a ed.). L'accusa rivolta alla teoria della relatività, secondo la quale la celebre equazione einsteiniana sarebbe sessualmente connotata, è espressa da Luce Irigaray in Parler n’est jamais neutre, Éditions de Minuit, Paris 1987, p. 110 (ed. it. Parlare non è mai neutro, Editori Riuniti, Roma 1991; cit. nel vol. di A. Sokal e J. Bricmont).
[3] Cfr. ad es. Giulio Giorello, Se ti spiegassi la scienza?, intervista di Marco Alloni, Aliberti editore, Roma 2011, p. 73. Nel vol. cit. emerge una posizione critica, un po' stereotipata, nei confronti di Derrida, secondo la quale «il relativismo sarebbe da considerare il nostro "punto d'arrivo"» (ivi; in nota il decostruzionismo derridiano viene anche indicato come un movimento filosofico «volto a mettere in evidenza l'assenza di una verità originaria»). In realtà, il giudizio dovrebbe piuttosto rivolgersi al vasto movimento postmoderno che esula, in una parte più o meno grande, dalle premesse derridiane.
[4] Maurizio Ferraris, Introduzione a Derrida, Laterza, Roma-Bari 2008 (3a ed.), p. 55 (1a ed. 2003). 
[5]  Ivi, p. 78. Per le scienze cognitive cfr. ad es. Paolo Legrenzi, Prima lezione di scienze cognitive, Laterza, Roma-Bari 2010 (2a ed. riveduta e ampliata; 2002 1a ed.).
[6] M. Ferraris, Introduzione a Derrida, cit., p. 56.
[7] J. Derrida, Politiche dell’amicizia, Raffaello Cortina, Milano 1995, risp. pp. 131 e 132 (ed. or. Politiques de l’amitié, Galilée, Paris, 1994).
[8] M. Ferraris, Spettri di Derrida, in id., Ricostruire la decostruzione. Cinque saggi a partire da Jacques Derrida, Bompiani, Milano 2010, pp. 15-42; p. 39.
[9] Id., Inemendabilità, ontologia, realtà sociale, in «Rivista di estetica», n.s., XLII, 19,1, 2002, pp. 160-199; p. 161.
[10] J. Derrida, Spettri di Marx. Stato del debito, lavoro del lutto, e la nuova Internazionale, Raffaello Cortina, Milano 1994, p. 40 (ed. or. Spectres de Marx. L’État de la dette, le travail du dueil et la nouvelle Internationale, Galilée, Paris 1993).
[11] M. Senatore, In nome dell’incondizionato o la congiura decostruttiva, in F. Vitale e M. Senatore, L’avvenire della decostruzione, Il melangolo, Genova 2010, pp. 125-146, p. 140.
[12] J. Derrida, Stati canaglia. Due saggi sulla ragione, Raffaello Cortina, Milano 2003, p. 205; ripreso in M. Senatore, In nome dell’incondizionato…, cit., p. 142.
[13] Cfr. G. Giorello, Se ti spiegassi la scienza?, cit., pp. 76-77.
[14] Ivi, p. 73.
[15] M. Ferraris, Una recensione finta, in id., Ricostruire la decostruzione. Cinque saggi a partire da Jacques Derrida, Bompiani, Milano 2010, pp. 43-64; p. 60 (pubbl. or. come Jacques Derrida’s Writing and Difference, in «Topoi», 26, 2007, pp. 279-286).
[16] Sulla vigilanza derridiana cfr. J. Derrida, La scrittura e la differenza, Einaudi, Torino 1990, p. 42 (ed. or. L’écriture et la différance, Seuil, Paris 1967). Per la cit. di Gould cfr. Stephen J. Gould, The Most Unkidest Cut of All, in id., Dinosaur in a Haystack: Reflections in Natural History, Jonathan Cape, London 1996, pp. 309-319; p. 318 (pubbl. or. in «Natural History», 5, 1992, pp. 2-11).
[17] S.J. Gould, La vita meravigliosa. I fossili di Burgess e la natura della storia, Feltrinelli, Milano 2007, p. 22 (1990 1a ed.; ed. or. Wonderful Life: The Burgess Shale and the Nature of History, W.W. Norton & Co., New-York-London 1989). Un'interessante galleria illustrata e commentata riguardo il tema dell'antropocentrismo nelle sue varie manifestazioni paleontologiche si trova in Fabio Manucci,  Antropocentrismo e paleoillustrazione, 12 ottobre 2011, disponibile presso http://agathaumas.blogspot.it/2011/10/antropocentrismo-e-paleoillustrazione.html; un commento di Andrea Cau sul mammalocentrismo è reperibile al seguente linkhttp://ultrazionale.blogspot.it/2008/11/invidia-della-mammella.html.
[18] Telmo Pievani, Cialtroneschi attacchi di “L’Avvenire” contro MicroMega e la scienza, 24 feb. 2012, reperibile on line presso http://www.pikaia.eu/EasyNe2/Notizie/Cialtroneschi_attacchi_di_%E2%80%9CL%E2%80%99Avvenire%E2%80%9D_contro_MicroMega_e_la_scienza.aspx

13 commenti:

  1. Se mi si permette un commento a margine del post, non condivido il punto di vista (riferito a Gould) per cui occorra "[...]umiltà nel riconoscere che la scienza non può, in linea di principio, trovare le risposte alle questioni morali".
    Qui sta molto della difficoltà a contrastare i creazionismi ed altre concezioni anti-evoluzioniste. Se si assume che la Scienza sia un "magistero" diverso, che non possa dirci alcunché "su come andare in cielo", essa sarà sampre in posizione difensiva e subordinata rispetto ad altre (presunte) forme di conoscenza che si arrogano una competenza etica e morale.
    La Scienza è etica ed è morale. La Scienza si basa su un dogma etico, il principio di Oggettività, in base al quale al di fuori del soggetto scienziato esiste una Realtà Oggettiva non influenzabile dalla soggettività nella sua struttura generale ("le leggi naturali").
    Tale principio deve fondare, e può farlo, una morale ed un'etica scientifica, non intesa come etica nell'azione di ricerca, bensì Etica di vita dedotta dalla ricerca. La comprensione che i viventi sono rami continui di un unico albero ha conseguenza etiche. La comprensione che la mente umana ha una struttura spiegabile unicamente dalla materia organica ha conseguenze etiche. La comprensione che l'embrione umano prima di un determinato momento è indistinguibile dalla parte che genera la placenta ha enormi conseguenze etiche. La consapevolezza che gli attributi della personalità hanno una fondazione non-lineare nel genoma e nell'ambiente ha conseguenze etiche. La consapevolezza che la ricerca medica e scientifica allunga l'esistenza, riduce la sofferenza e permette la sopravvivenza a individui prima condannati a morte precoce o handicap ha conseguenze etiche. Queste conseguenze DISCENDONO dalla Scienza, non si applicano ad essa. Pertanto, sono fortemente contrario a chi separa Scienza ed Etica, di fatto consegnandola nuda e senza difese alla superstizione.

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    1. Condivido tutto ciò che hai scritto, così come condivido (in gran parte) quanto scritto nel recente e interessante vol. di Steve Stewart-Williams che verte e riassume i punti principali della questione: Il senso della vita senza Dio. Prendere Darwin sul serio, edizione italiana a cura di Maurizio Mori, Espress edizioni, Torino 2011, cap. 12, Ricostruire la morale, pp. 269-309 (ed. or. Darwin, God and the Meaning of Life: How Evolutionary Theory Undermines Everything You Thought You Knew, Cambridge University Press, Cambridge 2010).
      Il punto è però un altro. La scienza non è etica o morale di per sé. Lo è nella misura in cui gli studiosi, più o meno ideologicamente orientati (o i manipolatori teologico-politici), fanno in modo che essa lo diventi. I documenti che citi sono neutri in quanto non interpretabili in un senso o in un altro. Sono per il semplice fatto di esistere, di non rilevare alcuna te(le)ologia possibile (religiosa o laica). Io credo fermamente nella libertà democratica come conseguenza di una maggiore conoscenza scientifica (ci tornerò nel prossimo post) e nel prendere coscienza che la morale tradizionale (plasmata dalla religione e da certe azioni politiche) sia inapplicabile di fronte alle conoscenze biologiche - le quali rivelano a loro volta delle conseguenze etiche (come noti giustamente) le quali possiedono delle ricadute politiche e sociali. Però finché questo programma di ampio respiro e di lunghissimo periodo non si diffonderà maggiormente, la scienza rimane interpretabile. Qui agisce il decostruzionismo, come l'ho trattato più sopra, in quanto medicinale temporaneo (sulla lunghissima distanza). E' un'utopia? Certo, ma occorre avere delle idee politiche lato sensu che animino il confronto democratico e le opinioni personali, come cittadino in quanto depositario conoscente e cosciente. Nel frattempo ritengo, come credo faccia anche tu, che solo la conoscenza scientifica dei contenuti neutri della stessa conoscenza possa contribuire a stabilire un migliore approccio democratico alla vita nel suo insieme e a contribuire a formare una maggiore difesa democratica contro gli agenti patogeni che inquinano la coesistenza e l'esistenza stessa (i fondamentalisti d'ogni appartenenza ideologica, teologica o politica, gli antiabortisti, i movimenti autodefinitisi vacuamente "pro-vita", etc. etc.).
      Però, al momento la scienza rimane - e lo ribadisco - interpretabile e perciò manipolabile. Ad es., in Francia la scuola sociobiologica si è fusa dai primordi con uno spirito politico estremista (di destra), nella rivalutazione del lavoro di un premio Nobel (Medicina, 1912), Alexis Carrel. Costui si distinse per le sue posizioni eugeniche e razziali; eppure partiva dai dati (connotati ovviamente secondo le conoscenze dell'epoca) che tu stesso hai messo in rilievo. Questo era un rischio che S.J. Gould aveva ben previsto fin dai tempi del suo volume del '77, Questa idea della vita (un rischio che E.O. Wilson non mi sembra abbia mai debitamente preso in considerazione nei suoi testi). continua...

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    2. segue...
      Un ultimo punto, per il quale ti inviterei ad una profonda riflessione critica.
      Dato che la società non è ancora arrivata al punto di comprendere razionalmente il senso democratico (e neutro, ossia non manipolabile) della conoscenza scientifica, lo stesso successo che arride a certe opere travalica i confini della comunicazione/divulgazione scientifica per imporsi nelle agende degli uomini politici (esistono uffici in ogni partito che si occupano delle agende "ecologiche", declinate ovviamente in modo ideologico). Questi, in secondo luogo, se hanno a che fare con la gestione del potere presso il governo per delega elettorale, plasmano letteralmente l'educazione delle nuove leve della futura società adulta (con riforme scolastiche, direttive ministeriali, etc.). Tra quelle nuove leve ci saranno anche i nuovi studiosi e scienziati, i quali interpreteranno a loro volta il mondo (scientificamente e biologicamente neutro) attraverso le griglie culturali (memiche e non neutre) loro impartite. E' opinione dello psicologo Oliver James che il successo dei libri di R. Dawkins (più consistente di quello riservato alle opere di E.O. Wilson) sia dovuto ad una serie di fattori contingenti (ovvio), tra i quali (meno ovvio) l'ondata neoliberista e conservatrice di M. Thatcher e R. Reagan. Certamente, l'uso delle tesi dawkinsiane sui geni come replicatori egoisti, a scapito degli organismi intesi come meri veicoli (sto semplificando), è stato ricondotto in modo "criminoso" all'ideologia politico-economica, come «alibi intellettuale per i valori di un'epoca che si può riassumere nella massima "l'avidità è buona" (come diceva Gordon Gekko in Wall Street di Oliver Stone)» [cit. da Oliver James, Il capitalista egoista, Codice edizioni, Torino 2008, p. 109; ed. or The Selfish Capitalist, Vermilion, an imprint of Ebury Publishing - A Random House Group Co., London 2008]. Ma quello che mi preme considerare è che, insomma, gli scienziati non stanno in una gabbia dorata ma hanno anche fare, volens nolens, con la società. Da cui discende, a cascata, l'influsso sugli stessi scienziati in fieri, e così via.

      Come sappiamo, la scienza è controintuitiva rispetto alla cognizione ingenua (e "naturale", che non equivale ad effettive o efficace) e necessita di lunghi studi e di ancor più lunghe riflessioni e osservazioni; non esiste isomorfismo immediato tra dato di fatto e interpretazione. Fino a quando la scienza e il suo metodo non saranno diventati molto più diffusi di quanto lo siano oggi, non bisogna smettere di agire divulgativamente a tutti i livelli (mediatici, intellettuali, acccademici) con "umiltà" e "vigilanza".

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    3. Ogni individuo, incluso il ricercatore, è immerso nello spirito del suo tempo (detto in modo banale ma corretto). Siccome viviamo ancora in una cultura non-naturalista (naturalismo = scientifica) è inevitabile che le scienze naturali siano ideologicamente forzate verso altre culture, quelle del tempo. Ad aggravare la situazione è la diffusa concezione che la Scienza debba essere a-morale e antit-etica, "fredda e distaccata" sulle questioni del senso, quando invece essa è la sola forma di conoscenza del senso possibile, se non altro perché se un senso esiste, deve essere oggettivo e non un intimo soggettivo, e quindi appartiene all'ambito della Scienza soggetta al postulato di Oggettività.
      Il discorso che facevo io è differente, e mi sembra - forse - tu non lo colga pienamente. Io sono profondamente convinto che la Scienza sia etica e morale in sé. Non solo lo sento, ma è una conseguenza inevitabile del suo modus vivendi. Chi pensa scientificamente deve necessariamente sviluppare un'etica scientificamente guidata ed una morale scientificamente dedotta. Non è solo una questione di diffondere la conoscienza scientifica o il metodo a sempre più persone, parlo di diffondere l'etica e la morale intrinseca alla conoscenza scientifica, qualcosa che apparentemente è un ossimoro nella cultura dominante. Lo dico perché sento questa etica in me, risultato di ormai un ventennio di letture, studi e riflessioni. Per far capire, la scienza è etica in me ed in sé esattamente come lo può essere il Vangelo per un monaco benedettino o lo scritto di Kant per un filosofo kantiano. E nel momento in cui la Scienza è etica in sé, nessuna altra etica si può imporre per interpretare i risultati della Scienza. Non esiste per me una politica conservatrice che si impossessa del darwinismo, perché il darwinismo è già parte di un'altra cultura distinta dalle basi del pensiero conservatore, ed è quella cultura chiamata Scienza. Purtroppo, vedo che la maggioranza delle persone vede la scienza come una forma a-morale di conoscenza, un mero osservare distaccato e registrare eventi, quando invece è ontologicamente etica, perché volta ad un imperativo che è la crescita della consapevolezza.
      Questo, a mio avviso, è lo sbocco futuro del pensiero scientifico, la cosidetta fase della mente teoretica sensu Donald.
      Fintanto che ciò non accadrà, e vivrà il mito della Scienza-eticamente-neutra-priva-di-morale (sensu Gould e Galilei) le ideologie potranno imporsi e forzare le parti di scienza a loro comode, come la selezione naturale nel nazismo o il selezionismo genico in reaganesimo, o il BigBang in creazionismo.
      Proprio come la Storia Naturale può e deve fondare una nuova Cosmogonia scientifica che sostituisca il mito senza divenire esso stesso mito, così l'etica tradizionale dei filosofi e religiosi può e deve essere sostituita da un'etica scientificamente fondata.
      Finché non si sarà compresa questa forma di morale, non avrà senso sperare in una democrazia scientifica.

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    4. Il tema è molto interessante e molto (ahimé!) lungo e impegnativo. E' in effetti talmente interessante che sono indeciso se espandere il tema in una prossima serie di post.
      Ad ogni modo, mi interessa notare la tua citazione di Donald (se per esso intendi Merlin Donald, professore emerito presso la Queen’s University, Ontario). E su questo mi soffermo per chiarire quanto certi modelli scientifici siano ideologicamente connotati.
      Secondo la distinzione operata dal primatologo Cristophe Boesch, esistono due indirizzi di pensiero contrapposti frontalmente nelle scienze cognitive: uno "cartesiano" e uno " darwiniano" (o naturalistico che dir si voglia; sono etichette per esigenze di brevità). Il primo indirizzo assolutizza le capacità del cervello umano rispetto agli ineludibili rapporti tra ambiente, nicchie ecologiche ed evoluzione delle abilità cognitive. Donald, esponente di questo punto di vista, si è addirittura spinto a dire che «l’attuale collocazione [dell’uomo] nell’ambito della cronologia del processo evolutivo», cioè tra i primati, è uno sbaglio e ha persino giudicato «un errore tassonomico assurdo e grossolano lo schema di classificazione che ha privilegiato gli aspetti anatomici e sminuito l’importanza della mente» [Merlin Donald, L’evoluzione della mente, Bollati Boringhieri, Torino 2011, p. 441; cfr. inoltre p. 420 (Garzanti, Milano 19961, 2004 1a ed.; ed. or. Origins of the Modern Mind: Three Stages in the Evolution of Culture and Cognition, Harvard University Press, Cambridge 1991)].
      Tutto ciò è insostenibile da un punto di vista paleontologico e genetico (e anche da un'ottica cognitiva se consideriamo il crescente dossier primatologico); d’altra parte l’autore si è chiamato fuori dai modelli scientifici verificabili nel momento stesso in cui ha affermato, nello stesso testo che l’universo «darwinistico è troppo angusto per comprendere l’umanità» [ivi, p. 441].
      Altrove ha cavalcato gli stereotipi più vetusti dichiarando l'uniformità tra "nostra" preistoria e "primitivi" attuali (per cui l'animismo - categoria anch'essa desueta - sarebbe evidente dai manufatti paleolitici; in The Roots of Art and Religion in Ancient Material Culture, in C. Renfrew e I. Morley (eds.), Becoming Human, Cambridge University Press, Cambridge 2009, pp. 95-103; cfr. p. 101).
      La ricostruzione di Donald è inficiata da un modello aprioristico (e ideologicamente connotato): ciò che appartiene all'uomo non è d'origine animale. La scelta del materiale primatologico in base al quale propone l'alterità cognitiva dell'uomo (e gli ipotetici stadi o fasi di sviluppo quantitativo - e qualitativo - dell'attività mentale umana) è fortemente condizionata da pregiudizi cognitivi.
      In casi come questo un po' di pratica decostruzionista può contribuire a correggere gli sviluppi e migliorare i punti di vista (magari senza dover buttare via tutto).

      Ritengo inoltre (sulla scorta di numerosi studi) che non si possa più parlare di cognizione e moralità facendo astrazione dal confronto cognitivo con il mondo animale e, soprattutto, con i nostri parenti filogenetici vicini e lontani. Di questo certamente mi occuperò più avanti.

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    5. NOTA: Di seguito il resto della conversazione che, per problemi legati al riconoscimento antispam di Blogger, non ha potuto continuare in questa sede.
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      Andrea Cau: Ho mediato il termine da Donald perché esprimeva bene il concetto che volevo esprimere, ma nel resto non condivido la sua concezione dell'evoluzione della mente.

      Tempi profondi: Visto il problema con i commenti concludo qui: vorrei solo aggiungere (o chiarire) che non si tratta più solo del «mito della Scienza-eticamente-neutra-priva-di-morale (sensu Gould e Galilei)», ma che le conoscenze scientifiche (e in modo particolare biologiche) restano neutre (ovvero non manipolabili - e lo sottolineo) rispetto all'assegnazione di un senso (la morale è assegnazione di un senso comportamentale, sociale, etc.). E' un discorso (che può sembrare velleitario o utopico) che ha a che fare con l'integrità deontologica del soggetto che fa scienza (e del soggetto che alla scienza si ispira), ed è quell'integrità deontologica che coniuga in potenza gestione dei valori democratici e scientifici non negoziabili. Ed è qui che il discorso si fa meno utopico, perché si ritorna a qual cittadino cosciente e conoscente che fa parte di una comunità democratica. In quanto tale egli può decidere sulla base di strumenti concettuali e scartare quelle proposte deontologicamente scorrette e/o ideologicamente orientate, volte a fare un uso iniquo e politicamente orientato della conoscenza biologica o scientifica.

      Andrea Cau: Non concordo. Credere che possa persistere un'etica slegata dalla scienza è come continuare a credere che le terra sia piatta nonostante le evidenze della sua forma curva. Il senso/valore è sempre un'interpretazione dei fenomeni che si pone come fondamento e guida del futuro agire. Perciò, il senso in un mondo fondato sulla scienza è nelle informazioni emerse dalla ricerca scientifica. Esse sono quindi linee guida morali oggettive e insindacabili. Pertanto, la scienza (anche e sopratutto quella biologica) è portatrice di senso e valore, e diventa indirizzo di condotta morale. La democrazia sta solo nell'oggettività delle osservazione e nella ripetitibilità del processo scientifico - che deve essere accessibile a tutti -, ma i risultati, una volta constatata la ripetibilità, sono imperativi etici. Esempio. Se una scoperta scientifica modifica il concetto di "umano", essa non può essere negata o aggirata nella formazione e fondazione del concetto di "umano". Non esiste una integrità ideologica del soggetto, in quanto uomo in un contesto culturale, ma esiste solo l'integrità del processo conoscitivo. La ripetitibilità del processo rende irrilevante le motivazioni ideologiche (e difatti la non-ripetibilità delle idee crezioniste sul diluvio sono le insindacabili falsificatrici della concezione crezionista indipendentemente dalla robustezza ideologica di chi le professa), esse sono mere questioni biografiche o storiografiche, non scientifiche. Concludo, la questione ideologica è probabilmente più pressante in ambiti come le scienze "storico-umanistiche", dove l'oggettività è sovente marginale, ma nelle scienze naturali dove tutto è vincolato alla ripetibilità delle misurazioni, è irrilevante in base a quale ideologia uno scienziato ha preso tali misure. Esempio sciocco. Il therizinosauro a forma di chelone di Maleev del 1955 non è falso per via del marxismo leninismo della mente di Maleev, ma falso perché l'anatomia comparata del fossile indica uno status dinosauriano, non chelone. L'anatomia (e ogni altra scienza naturale) è invariante rispetto all'ideologia. Perciò penso che la decostruzione sia più un problema di chi sta all'intorno della scienza e non della scienza stessa. Ciò avvalora l'idea che la scienza abbia un corpus concettuale autonomo, da cui è auspicabile la fondazione di una propria etica e moralità.

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      Tempi profondi: L'esempio di Maleev non è pertinente: sussistono le basi per sostenere che nella sua descrizione scientifica vi sia un substrato «marxista-leninista» all'opera nel suo articolo? Non credo. Mi sembra, ma forse mi sbaglio, che tu tenda a far sparire la proposta decostruzionista dietro il paravento dell'indecostruibilità della scienza tout court. Però la scienza è un'operazione umana e in quanto tale le sue conquiste restano ideologicamente connotate e ideologicamente manipolabili. Se è la Terra a girare intorno al Sole (scoperta scientifica): benissimo, il Sole è la gloria del Signore, come era prima mutatis mutandis nel geocentrismo (qualunque possa essere la divinità di riferimento; è interpretazione ideologica). Il paleontologo Friedrich von Heune condivideva una fede nella teleologia biologica indirizzata verso l’uomo dalla volontà divina, ma fintantoché si è adoperato nella produzione di monografie e articoli di descrizione e sistematizzazione tassonomica dei reperti studiati, quella fede non ha minimamente inficiato il modello scientifico di descrizione adottato (tanto è vero che le sue descrizioni possono ancora essere consultate con profitto). Bisogna, con attenzione, «vigilanza» e «umiltà» (i due termini gouldiani cit. nel mio post), discernere ogni volta dove sono all'opera temi ideologici che deviano dalla conoscenza scientifica neutra (cioè non manipolabile in chiavi culturalmente condizionate e antropocentriche) e dove non lo sono. Aggiungi che «nelle scienze naturali dove tutto è vincolato alla ripetibilità delle misurazioni, è irrilevante in base a quale ideologia uno scienziato ha preso tali misure»: ma le scienze biologico-evoluzionistiche sono anche (e non solo, d'accordo) scienze storiche, dove ciò a cui si è giunti oggi (un "oggi" qualunque nel Fanerozoico) è l'esito di catene contingenti e intrecci di eventi casuali. Ciò mina la tua affermazione per cui «La ripetibilità del processo rende irrilevante le motivazioni ideologiche». Concordo con te su tutta l'aria di famiglia che anima il tuo commento, ma credo che tu stia sbagliando basi concettuali. Scrivi che «non esiste una integrità ideologica del soggetto [...] ma esiste solo l'integrità del processo conoscitivo»; non voglio suonare ipocrita, e perciò evito di lanciare un appello all'insegna del "dimostramelo!", ma mi risulta francamente insensata l'incarnazione esternalista del processo scientifico (per di più basato sulla sua integrità) slegata dagli agenti umani. Ancora: «L'anatomia (e ogni altra scienza naturale) è invariante rispetto all'ideologia». Se così fosse, mi cimento nel tuo campo di specializzazione, si sarebbero notate storicamente e immediatamente le analogie nel sistema respiratorio degli arcosauri viventi (ossia uccelli e coccodrilli), e si sarebbero notate le furcule già ad inizio Novecento (esempi casuali). Per motivi di studio storiografico, temo chiunque assolutizzi (cioè scinda fallibilità umana in virtù di una scienza adatta a spiegare la società morale) e ipostatizzi l'idea che la scienza abbia «un corpus concettuale autonomo, da cui è auspicabile la fondazione di una propra etica e moralità». Non penso sia necessario prodigarsi in ulteriori esempi di una storia vergognosa che sarebbe meglio relegare alle note a piè di pagina. So, poiché ti conosco, che non è in alcun modo il tuo caso ma, come diceva Nanni Moretti, «le parole sono importanti».
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      Andrea Cau: L'esempio che fai di Huene conferma le mie parole: la sua anatomia oggettiva e scientifica era vincente sulla sua fede soggettiva contingente. Il motivo per cui non si vedeva un legame uccelli-dinosauri era nel metodo sbagliato di studio allora dominante (il processo conoscitivo o paradigma non cladistico ma linneano fondato sull'assunto che il selezionismo attualista era la base dell'inferenza di legame filetico prima ancora che l'anatomia, dato che si riteneva la convergeza pervasiva, quindi la somiglianza dei caratteri omologi non significativa), ma una volta superato quel paradigma e assunto un nuovo paradigma, i legami sono stati evidenti e non attaccabili, ed i risultati hanno dimostato la potenza predittiva superiore. Gould aveva il suo paradigma macroevolutivo e storicista e sosteneva che la fauna di Burgess fosse spiegabile in base a vincoli storici irriducibili legati all'esplosione del Cambriano: oggi sappiamo che si sbagliava e che un modello ben più robusto spiega le forme che egli considerava nuovi phyla come rappresentanti basali e ancestrali di linee oggi esistenti. Cambia il metodo particolare, che si evolve e corregge, ma non il sistema scientifico concettuale. Gould aveva torto nell'interpretazione e nella teoria, non nel metodo a monte tramite cui giungeva alle proprie conclusioni. Come vedi, il metodo è insindacabile (e bada che insindacabile non significa "vero" o "corretto", ma solo metro di giudizio, impalcatura, nel sistema in cui persiste) fintanto che non viene falsificato. Leo, tu puoi giustamente sostenere le tue tesi teorica, ma io, come ricercatore scientifico, baso la mia esistenza concreta di ricercatore su un sistema concettuale vissuto, il quale, alla fine, ha plasmato la mia etica conoscitiva. E tale sistema lo riconosco anche nei mie ben più illustri predecessori, anche essi guidati dallo stesso principio etico, sebbene ognuno "contaminato" nel bene e nel male, dallo spirito del suo tempo. Io stesso sono contaminato dal mio vissuto. Per fortuna, dato che non sono un elaboratore di simboli astratti. Non esiste una scienza "assoluta" ed a-storica, ma esiste sì il sistema concettuale e procedurale delle scienze: questo ultimo è invariato da Galileo, ha prodotto la più grande rivoluzione culturale e tecnologica della Storia, e quindi non si può negare che un qualche "valore" esso debba avere. Io ritengo che tale valore arrivi fino all'etica e alla morale, e auspico che in futuro esso fondi etica e morale, perché riconosco che esso è superiore ai precedenti già solo per il fatto di ritenersi fallibile e rivedibili, nell'avere in sé i semi della critica e revisione, nel non proporsi dato e assodato. Non è un caso che io privilegi l'argomentazione basata sull'applicazione di una teoria fondata empiricamente (quasi indifferente alla sua "verità", in quanto inarrivabile) rispetto ad altri metodi più consoni alle ideologie, come il principio di autorità.
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      Tempi profondi: «Non esiste una scienza "assoluta" ed a-storica, ma esiste sì il sistema concettuale e procedurale delle scienze: questo ultimo è invariato da Galileo, ha prodotto la più grande rivoluzione culturale e tecnologica della Storia, e quindi non si può negare che un qualche "valore" esso debba avere. Io ritengo che tale valore arrivi fino all'etica e alla morale, e auspico che in futuro esso fondi etica e morale, perché riconosco che esso è superiore ai precedenti già solo per il fatto di ritenersi fallibile e rivedibili, nell'avere in sé i semi della critica e revisione, nel non proporsi dato e assodato». Anche se non è del tutto esatto dire che la cornice concettuale è rimasta invariata (cambiano i modelli di riferimento: non c'è più solo Popper da tempo, ma - e dico banalità - Lakatos, ad esempio... e non mi dire che la filosofia della scienza non si rifrange sulla produzione disciplinare "dura"!), su tutto ciò sono d'accordo al 100%: il funzionamento della materia, dell'evoluzione, del cosmo, etc. è uno e non è suscettibile di modifiche (e questo era anche il nocciolo della proposta ferrarisiana cit. nel post, per cui girando in circolo si torna in conclusione al punto di partenza). Il mio punto di vista era rivolto soprattutto ai casi ove ristagni (per così dire) un punto di vista ideologico (e quindi soprattutto per lo studio storiografico scientifico - nel passato - o nel confronto tra creazionismi e scienza - nel presente). Considera però questo: se la scienza è provvisoria e in continua espansione (anche se ogni risposta sollevata da una scoperta cambia le domande preconcette di partenza), anche l'etica sarebbe negoziabile e provvisoria? Non credo; sarebbe tollerabile mettere tra parentesi l'etica ad libitum? No; per questo la scienza è neutra ed è questo suo essere neutro di fronte agli imperativi dogmatici (siano essi teologici o politici) che impone un potente ripensamento (a chi lo vuole fare). Gli studi di von Heune sull'osteologia di un taxon (quelli ancora usati) difficilmente possono fondare un'etica scientifica nel senso che intendi (difatti von Heune era un devoto cristiano che vedeva agire nell'evoluzione di quei taxa studiati la forza delle linee filetiche in chiave ortogenetica e teologica). Ergo, l'etica è una costruzione antropocentrica che risente dei modelli ideologici extra-scientifici soggiacenti. Perciò occorre anche insistere sulla divulgazione seria come quella che fai tu. Esistono dei vincoli cognitivi naturali che agiscono nella cognizione quotidiana: la scienza li aggira e tenta di aumentare progressivamente, senza finalità morali (come dovrebbe essere), la conoscenza. La politica e le religioni classiche li rafforzano (e così facendo rafforzano i preconcetti ideologici). L'etica è un rapporto innanzitutto sociale di un modo di vivere individuale, che ha le sue radici nella nostra evoluzione (e nell'espressione etica che solo ora sta cominciando ad emergere nell'ambiente primatologico).
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      Tempi profondi: Quando affermi che la base per «l'esistenza concreta di ricercatore» è sul vissuto (ossia sull'introiezione di un sistema concettuale), il quale, alla fine, «ha plasmato la [tua] etica conoscitiva», poni a priori un solipsismo che è uguale a quello dei teologi o di un von Heune attuale e ipotetico. Questi potrebbe ribattere: «ma allora se reputi il fallibilismo una costante dell'inchiesta scientifica, non vedo perché dovrei aderire sic et simpliciter ai punti che elenchi (quelli del tuo primo commento)». Ora, e concludo sfiancato (!), quegli stessi modelli etici desunti dalla conoscenza scientifica prestano il fianco alle interpretazioni ideologiche e te(le)ologiche proprio perché rimangono neutri! Dato che di ideologia si tratta (ma ti pregherei di non sottovalutare con sprezzo gli ambiti non scientifici: ricordo ancora una volta che le stesse direttive ministeriali stabiliscono qualità e quantità delle linee guida di studio e ricerca ovunque nel globo - e queste sono basate su ideologie extra-scientifiche), è questa ideologia a manipolare a suo piacere il senso della conoscenza scientifica, siano astri, embrioni o fossili. Se non si comprende questo punto che reputo fondamentale - e non ci si oppone tramite la maggiore condivisione dell'insegnamento e della divulgazione (a quando un'ora di Biologia evoluzionistica e Paleontologia nel quinquennio delle scuole superiori? La proposta, proprio per i motivi sopra elencati, deve venire dal basso) - la scienza così come io e te la conosciamo rimarrà sempre soggetta a crisi periodiche di violenza inaudita (come nei regimi totalitari o sotto i dogmi imperanti delle religioni).
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      Andrea Cau: Commento solo per precisare che, come scritto nel mio primo commento sul blog, tutto il mio discorso è solo una critica alla presunta affermazione di Gould (o in generale ai fautori dei due magisteri separati). Il tema del post non è il mio campo e lungi da me commentare qualcosa invano. Al contrario, il valore etico della Scienza è qualcosa su cui penso (spero) di poter dire qualcosa. In brevissimo e chiudo, l'etica e la morale non sono astrazioni filosofiche, ma regole pratiche di comportamento nel mondo. Pertanto, è preferibile un'etica fondata su una visione oggettiva del mondo che fondata su mitologie e ideologie costruite in modo soventa astatto o pseudo-oggettivo (Hegel e discendenze). Tu citi una forma di solipsismo, ma io ho eliminato alla base questa obiezione nel momento in cui dichiaro che l'etica deve basarsi sul principio di oggettività e quindi sulla struttura concettuale della Scienza. Non esiste un solipsismo che si riconduca all'oggettività, dato che per il solipsismo nega l'oggettività intesa come "altro" dal soggetto. Pertanto, non è sullo stesso piano che si pone un'etica scientifica da una basata su una fede, se non altro perché i fondamenti della prima sono testabili, i secondi no. Io posso fondare un concetto di "uomo" basato su antropologia evolizionista, fossili, embriologia e neuroscienze, invece che su Soffi Divini influssi alla terra plasmata o a Peccati Originali, né su astrazioni idealiste o platoniche, ed il mio critico potrà verificare sul piano empirico la validità o meno dell'uomo e dell'ethos da me affermato. Non si può dire lo stesso delle altre impostazioni.
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    12. ... segue

      Tempi profondi: Ma io non credo nei magisteri separati, che hanno perso credibilità filosofica e morale. Comunque non c'era alcun accenno ai NOMA nel mio post, ma solo una cit. gouldiana che non verteva sui NOMA bensì sul rapporto tra scienza e atroce ed infame politica xenofoba nella Germania degli anni '40. Ritengo che la scienza biologico-evoluzionistica indichi la via necessaria per una riformulazione condivisa della morale in una chiave democratica, ma ritengo che il passaggio tra scienza e etica non sia né così automatico (tu stesso dichiari di aver percorso un lungo tragitto personale e di studio - questo è solipsismo non estrapolabile dalla tua situazione e non generalizzabile) né così palese (insisto: resiste sempre, e resisterà sempre a causa di motivi epistemici extra-scientifici, una giustificazione ideologica, sia essa teologica o politica - è sul campo dei componenti extra-scientifici che si deve giocare per contrastare il lato conservatore e tradizionale della società). Senza educazione scientifica e, ripeto, senza costruzione lenta di una maggiore conoscenza da parte di tutta la società, difficilmente ci potrà essere un rinnovamento sociale condiviso scevro da implicazioni sociali haeckeliane, ultradarwiniane, ultrasociobiologiche, ideologiche, teologiche o quant'altro, continuando a sperare in fondi ministeriali per la scienza o in potenziamenti scolastici (parlo di tutto il mondo "occidentale") che non arriveranno mai. [...]
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      fine dei commenti supplementari

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